CORRERE E RESISTERE NELLA SOCIETA' DEL BENESSERE
Il titolo è provocatorio, ma d’altronde non potrebbe essere altrimenti, non solo alla luce degli ultimi eventi Olimpici, ma in merito al negativo trend europeo nelle cosiddette “Distance Running” che si protrae ormai da troppo tempo. Non è semplice spiegare, eppure in tanti ci provano, il motivo per cui un continente che fino a metà degli anni ’80 dominava ampiamente nelle corse di resistenza si trovi oggi nell’imbarazzante condizione di spettatore spesso impotente, di fronte allo strapotere dei corridori africani (kenyani ed etiopi in particolare), o eccezione alla regola davanti a nazioni un po’ più organizzate (vedi gli Stati Uniti). Il termine “fatica” nel nostro paese è diventato quasi un eresia, o meglio si riscopre quando ormai è troppo tardi. Appare evidente che la società italiana negli ultimi decenni è profondamente mutata: da un lato i dati confortanti di una nazione che presenta a livello europeo un alta età media degli abitanti, che se per un verso indica buone condizioni ambientali per vivere a lungo, dall’altro denuncia una natalità risicata. Se a questo aggiungiamo problemi di abbondanza ponderale di una buona percentuale di adolescenti, il quadro diventa alquanto preoccupante. Innanzitutto bisogna creare una nuova predisposizione alla fatica sia mentale che fisica, in un contesto soprattutto cittadino dove i meccanismi di spostamento sono portatori di un'assuefazione a non muoversi ed al trovare faticoso l’uso delle gambe, ragion per cui l’arretramento sul fronte delle cosiddette “capacità aerobiche” risulta scontato. Il primo intervento per fermare una tale débâcle organica, è da effettuare nelle scuole con l’individuazione precoce di chi potrebbe essere avviato a specialità di resistenza, cominciando con l’introduzione di progetti mirati che stimolino la capacità di resistere già nel primo ciclo della scuola elementare; insistere su uno sviluppo contemporaneo del corpo e dell’abilità della mente a resistere, considerando che il cervello ha un ruolo essenziale nell’incremento della possibilità di lavorare a lungo nel tempo; fare in modo che queste due condizioni non vengano mai tralasciate per tutta la durata della vita agonistica dell’atleta. Ovviamente da parte del tecnico dev’esserci molto acume, conscio delle possibilità peculiari che il potenziale atleta possiede “in nuce”, specie sulla capacità di valutare la crescita biologica del soggetto, affinché i risultati non siano troppo pesantemente influenzati (e ciò sovente accade in campo femminile) da parametri quali il rapporto peso/altezza e peso/potenza largamente in anticipo rispetto ai canoni dell’età, cosa che potrebbe destinare nel prosieguo dell’attività al fallimento del progetto. Grande spinta motivazionale, carichi mirati e progressivi, nessuna paura nello sperimentare soluzioni nuove; non esiste prestazione senza un duro training, ma la soluzione non è solo nell’espansione senza limiti dei volumi di lavoro. Non basta lavorare tanto, allenarsi di più: occorre aumentare i volumi con scelte creative e coraggiose sulla scala dell’intensità dell’allenamento. L’atleta non deve porsi limiti mentali nell’affrontare certe intensità, abituandosi ad accettare diverse fatiche senza dare adito a dannosi compromessi con l’allenatore, cercando inutili facilitazioni. Se da un lato è corretta la preoccupazione di ‘non specializzare precocemente’ dall’altro questo non deve significare l’assenza di qualsiasi stimolo specifico. I risultati in queste fasce d’età influenzate dalla grande attività ormonale derivante dallo sviluppo del soggetto, devono assolutamente trovare il giusto equilibrio tra facili entusiasmi e momenti di depressione, valutando la prestazione atletica non in base al numero di vittorie, ma in base ad una crescita generale continua, evitando stagnazioni e adattamenti a quanto già fatto ed utilizzando le sconfitte come un momento utile alla crescita soprattutto mentale del soggetto. La tecnica di corsa (running economy), elemento di qualificazione imprescindibile e di distinzione tra un atleta d’élite capace di grandi risultati cronometrici e il modesto praticante, è da curare continuamente trasferendo in proposte pratiche le leggi della biomeccanica per ottenere un azione di corsa efficiente e non dispendiosa. Da non trascurare mai l’aspetto neuromuscolare, senza soffermarsi troppo in questo ambito sull’esatta dicitura terminologica: che sia resistenza alla forza, forza resistente o solamente forza-resistenza, sarà cura del tecnico scegliere i metodi più idonei per produrre aumenti nella forza del proprio atleta senza incorrere negli aspetti negativi che un eventuale aumento potrebbe provocare. Chiudendo con l’affermazione del grande fisiologo Astrand, potremmo aggiungere che chi vuole emergere in atletica deve essere abile a scegliersi i genitori giusti. In effetti gran parte del raggiungimento di risultati prestigiosi è legato ai cromosomi e quindi al patrimonio genetico, ma a questo va aggiunto una forte volontà di arrivare, un allenamento adeguato e il contributo di un tecnico che abbia le necessarie conoscenze sia tecniche sia psicologiche per accompagnare l’atleta nel suo cammino oltreché delle condizioni ambientali favorevoli (società, famiglia). La sfida è aperta, anzi è il caso di dire, non si è mai chiusa!