LE LOCOMOTIVE DELLA PERSEVERANZA
A volte per coincidenze o per proiezioni dell’inconscio, ad alcuni esseri umani la sola condizione dell’esistenza data dalla natura non gli basta e la vita scelgono di ‘viverla’ pienamente. In Cecoslovacchia prima dell’occupazione nazista, all’adolescente Emil Zátopek, figlio di un calzolaio, fu chiesto di partecipare ad una gara di corsa aziendale organizzata dal capo della fabbrica dove lavorava. Il giovane Zátopek non aveva però una gran voglia e si giustificò accusando dolori ad un ginocchio, ma lo zelante capo, grande appassionato di atletica, dopo un consulto medico lo obbligò a correre, cambiandogli il destino. Da allora iniziò ad allenarsi in ogni ritaglio di tempo, dopo il lavoro, la mattina presto o la notte, fino a che la corsa non divenne la sua nuova professione. Agli Europei del 1946 ad Oslo, prima manifestazione sportiva internazionale dopo la guerra, Zátopek ottenne un quinto posto nei 5000 metri e nello stesso anno vinse i 10.000 nei giochi interalleati di Berlino. Da allora un successo dietro l’altro sino all’exploit alle Olimpiadi di Helsinki del ‘52, dove conquistò l’oro nei 5000, 10.000 e nella maratona. Tripletta mai più compiuta da nessun altro atleta durante una medesima edizione dei giochi olimpici, impresa che gli valse per sempre il soprannome di locomotiva umana. Nel 1964 nello stato dell’Oregon, un esile tredicenne scartato dal football americano, compatì dei ragazzi della locale squadra d’atletica girare ostinati intorno al campo da football dove si allenava: “Solo dei pazzi potrebbero spendere tre ore della giornata a correre” pensò. Fu durante le ore di educazione fisica di uno stage istituito dall’high school, dedicato alle matricole per abbinare l’indirizzo sportivo giusto ad ogni studente, che Steve Prefontaine trovò la via su cui incanalare determinazione, convinzione e voglia di emergere. Così come Gilles Villeneuve divenne un mito della Formula Uno senza mai vincere un mondiale, Steve Prefontaine per il modo di correre, sempre all’attacco e mai sparagnino, è considerato ancora oggi una leggenda dell’atletica. Il primo gennaio del 1977 a Siderno Marina (RC) una gara di paese battezzò Francesco Panetta, svelandone caparbia e testardaggine tale da proiettarlo nel 1987 in vetta ai Mondiali di Roma, divenendo un’icona del mezzofondo italiano. Negli anni novanta il centrale difensivo del Castrolibero Maurizio Leone, ripose nella cassapanca dei ricordi gli scarpini da calcio per affrontare col ghigno da duro, fango, freddo e fatica in giro per mezzo mondo. Gli esempi nell’ambito della corsa prolungata a mo’ di sprono, per una rapida ripresa dopo l’emergenza sanitaria, non mancano di certo. L’auspicio di allungarne l’elenco, si fonda sull’incrollabile ostinazione di un'avanguardia di missionari dell'atletica del terzo millennio.